domenica 8 aprile 2012

Ogni volta che parto


un post in cui parlo della partenza, per ritornare


L'ultima volta scrivevo del ritorno e sono tornato altre due volte, da allora.
Adesso sono fermo, qui dove sono tornato e sono bloccato, pietrificato, incapace di spostarmi per evitare il carico emotivo, le apprensioni, le aspettative, le ansie che creo. 


In questi mesi in cui non ho scritto, sono stato al peggio delle mie possibilità e al meglio nonostante la realtà: ho continuato a disperarmi e a lagnarmi per le turbe nell'Urbe e ho imparato pure a cercare una cosa bella quotidiana ogni giorno, per educarmi alla positività. Ho perso un po' di chili perché ho smesso di mangiare senza criterio solo perché avevo smesso di fumare. Altri chili li ho persi grazie ad un simpatico virus intestinale. Cose belle quotidiane, sia chiaro. 

Sono qui, bloccato da queste nuove responsabilità, dal senso della misura che penso di aver scoperto e imparato; sto cercando di non esagerare col cibo, di non cercare la salvezza al reale nel cibo; forse sto sbagliando. 
Oggi è Pasqua e per quanto non mi interessi molto la cosa, durante queste feste avverto tutta la distanza, sento la famiglia sgretolata, la tenerezza che provo nel pensare ai miei genitori divisi, a mia sorella, a me che cerco di non vedere le situazioni surreali che mi trovo a vivere rinchiuso in questa stanza da solo mentre il panico passa al comando e io guardo nel vuoto come se non potessi più sentire speranza. 
In questi mesi in cui mi sono immerso nella realtà, ho scoperto che bene o male si sopravvive, che bene o male posso continuare a fare ciò che avevo deciso di fare.
Ho imparato che ormai alcuni treni sono persi perciò vale la pena incamminarsi a piedi e godere anche con gli altri sensi, non solo con la vista. Ormai conviene immergersi senza rinunce nella realtà: la velocità me la sono giocata, ora è meglio cercare la densità. 

Ma ogni volta che torno implica che ci sarà il momento in cui partirò. 
Ogni volta che parto è per ogni volta che sono tornato. 
Ogni volta che parto devo uscire dal surreale e imparare di nuovo ad immergermi nella realtà; ogni volta rischio di cedere e tornare dal cibo; ogni volta è riscoprire un criterio. 


Ogni volta che torno, arrivo in questo posto della mia mente in cui devo strisciare e restare in basso nascosto per non farmi vedere dal passato. E se voglio alzare lo sguardo per cercare il futuro, il passato mi trova e io sono schiacciato. 
Ogni volta che parto, devo imparare di nuovo a stare sulle mie gambe e non sul ventre e se mi alzo mi scopro sporco della terra in cui avevo messo le radici e devo vergognarmi perché ciò di cui mi sono nutrito non è qualcosa di prezioso agli occhi di tutti. 
Ogni volta che parto mi faccio un pianto per venirne fuori pulito, per pulire gli occhi e fare un po' di spazio per far crescere la chioma e non solo le radici. 
Ma come posso decidere in che verso crescere? 
Alcune volte non vorrei un corpo, non vorrei bisogni, 
vorrei imparare ad essere lo strumento della mia vita, 
non il fine. 

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