lunedì 18 luglio 2011

Come se cambiare fosse un dovere

oggi - per la gioia di tutti - parliamo di bisogni



Non è che volevo parlare dei cambiamenti perché ho compiuto ventiquattro anni. Non volevo neanche parlarne perché ho festeggiato il mio compleanno al Palio di Siena invece che al lago coi miei amici storici. Però anche nella storiella che v'ho raccontato nell'ultimo post, parlavo di cambiamenti. Certo, possono essere minimi, peggiorare la vita invece di migliorarla però sempre muovendosi.
In realtà mi interrogo spesso, chiedendomi se sia preferibile stare un po' fermi e poi andare avanti oppure non fermarsi mai, avanzare e poi miseramente retrocedere, conservando però la sensazione piuttosto piacevole del "fare comunque qualcosa". Chiacchiere a parte, sono cresciuto, sono cambiato, devo per forza di cose essere cambiato, cambiamo tutti, non è possibile che qualcuno non cambi. A meno che non decida, certo, di restare fermo pur di non retrocedere mai, neanche per sbaglio.
"Quest'anno l'agosto lo passo a Roma!" dice qualcuno "Non l'ho mai fatto perciò lo farò." conclude solenne.
"Il mio compleanno è sempre stato al mare o al lago. Quest'anno sarà a Siena perché sono nato lo stesso giorno del Palio." recitavo io. Poi, alla fine, è andata così e sono stato felicissimo. Probabilmente chi vuole passare agosto qui, così farà e potrà dire di essere soddisfatto e pure felice. Come se ritenessimo i cambiamenti qualcosa che dobbiamo a noi stessi, non qualcosa che meritiamo o vogliamo. Va così, come se cambiare fosse un dovere e non un bisogno.
Tanto, poi, quando qualcuno cambia qualcosa ha paura, è normale, ci dicono.
A me non lo dice nessuno, sia chiaro. Quello che so l'ho imparato grazie all'empatia.
Davvero pare essere la forza motrice per me, ma pure l'atto e la potenza. Io voglio così bene all'empatia che quasi direi che l'ultimo verso del Paradiso, forse forse, è sbagliato. Ma Dante pensava all'amore, che cosa posso rimproverargli? Solo che l'empatia non è amore. L'empatia c'è prima, genera amore che poi genera altra empatia, tant'è che mi chiedo se è davvero nata prima l'empatia o l'amore. Ad ogni modo, io riscriverei: "l'empatia che move il sole e l'altre stelle". Senza non saprei sopravvivere. Insieme a lei mi sento spesso condannato.
Ci vuole una storiella:

Una volta un brav'uomo aveva un pozzo, molto profondo. Quando si lamentava, i suoi pianti erano amplificati dalla profondità del pozzo. Quando gli altri stavano male ed urlavano di dolore, grazie al pozzo lui sentiva tutto così vicino, quasi come se provenisse da dentro di sè. Il pozzo collegava il brav'uomo all'altra gente, ai buoni e ai cattivi, incondizionatamente e senza fare differenze. Spesso, poi, quell'uomo rischiava di cadere nel pozzo per vedere se i rumori e i lamenti o le urla e le gioie che sentiva provenissero effettivamente da lì oppure da altrove. Il pozzo lo condannava a rischiare ogni volta. Eppure quando aveva sete e tutti cercavano disperati una goccia d'acqua, lui aveva il suo pozzo. Croce e delizia, limite strutturale e risorsa infinita.

Non vi voglio imbrogliare, ve lo dico: quell'uomo sono io e quel pozzo è empatia. Grazie al pozzo mi sento sempre salvo o salvabile, mai perso davvero o spacciato. So che finché non chiuderò il pozzo potrò pure avere paura ma avrò sempre qualcosa. Mi sento ricco.
Poi la paura resta, eh. Meno male, altrimenti sarebbe tutto quasi perfetto. La paura è sempre tanta, io poi sono un pauroso di prima classe. Quando mi sposto in città, la metro è l'unica che non mi fa paura, ma se devo salire in macchina e prendere la tangenziale est, lì sì che ho paura. Quando si corre, soprattutto nel primo tratto, quello ascetico, che dalla città sale verso l'alto, nella sopraelevata più alta di Roma.
Ho capito che l'unica soluzione per la paura è la privazione sensoriale, ma devo ancora lavorarci su e perfezionare:

Quando nella vita ho paura, chiudo gli occhi e fingo di essere su una giostra.
Subito dopo mi ricordo che ho paura anche delle giostre.

ShareThis