mercoledì 29 giugno 2011

La storia di colui che voleva uscire dalla gabbia

ci raccontiamo una favola per sopportare la cronaca




Stasera ho deciso di raccontarvi la favola dell'uomo che voleva uscire dalla gabbia.
Non è che in questa gabbia non ci stava per via delle sue dimensioni, non ci si stava stretti, anzi. Però le sbarre della gabbia, quelle erano brutte per davvero. Non sapendo come uscire dalla gabbia, quell'uomo iniziò - ogni sacrosanto giorno della sua vita - a dare un nome ad ogni cosa che aveva sotto mano e sott'occhio. Anche alle sbarre. La prima sbarra, quella che vedeva non appena girava la testa sul cuscino, la chiamò Stanchezza. La seconda, la prima che riusciva a toccare con mano sempre mentre era steso sul letto, iniziò a chiamarla Presente. Quella successiva la chiamò Ansia perché veniva dopo Presente. Dopo Ansia c'era Aspettativa e dopo Aspettativa veniva Frustrazione. Poi c'era il cancello con la serratura, che non riusciva mai ad aprire. E le sbarre del cancello si chiamavano Negazione, Avversità, Sfortuna, Sfiducia ed Incapacità. Le sbarre erano davvero tante, due lati della gabbia in muratura, due lati in sbarre e quella che era all'angolo la chiamava Paura. La gabbia che rovinava la vita a quest'uomo era davvero grande e la colpa era di tutte le sbarre ma Paura era quella portante, l'incubo d'ogni notte, tant'è che quell'uomo preferiva svegliarsi a metà del sonno con gli occhi sbarrati e vedere Stanchezza, piuttosto che avvertire Paura, in lontananza, ai piedi del letto.
Favolette a parte, un giorno quest'uomo scoprì che la sua mano poteva aprire la porta, a condizione di sacrificare un paio di dita nella serratura. Senza pensarci troppo, provò ed uscì. Perse un po' di sé ma si fece forza pensando che - in effetti - poteva essere questo il prezzo della libertà.
Passò del tempo e si rese conto di aver bisogno non di una gabbia ma almeno di un posto in cui sopravvivere e decise di andare a stare dove non avrebbe più potuto toccare Presente, visto il sacrificio appena pagato. Trovò un acquario, gli sembrò abbastanza comodo e pratico, gli ricordava un utero, era semplicemente un contenitore pieno di liquido in grado di attutire ogni ulteriore colpo che avrebbe potuto ricevere e quindi si tuffò.
Quando era dentro, si accorse di vedere tutto dai vetri, senza neanche più poter passare i suoi arti tra le sbarre, cercando l'illusione di libertà. Non solo - forse - non stava meglio di prima ma - in più - non poteva neanche dare nomi alle sbarre perché non erano più le sbarre a dividerlo dal mondo e ad impedirgli interazioni: erano state le sue scelte e i suoi desideri.
Non poteva più dare la colpa a Frustrazione o Ansia, non più dare responsabilità a Sfortuna e Stanchezza, nessuna Avversità.
Pare assai brusco da dire così ma la realtà è che continuò la sua vita lì, sguazzando nell'acqua, senza più possibili colpevoli da individuare e senza Paura a poterlo giustificare.



Questa era la storia di colui che voleva uscire dalla gabbia e che poi si tuffò nell'acquario.

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