mercoledì 8 giugno 2011

La rubrica dell'inquietudine

ogni tanto ansia, terrore ed inquietudine aggratis


"Hai parlato con tua sorella?"
"Sì, mamma, ho fatto da tramite"
Ho sognato di essere un angelo. No, non uno di quelli coi capelli biondi, asessuato, il vestito lungo da sera bianco e l'aureola o le ali. Ero me in persona, però facevo da messaggero.
Forse poche ore fa si è concluso il sogno più significativo della mia vita e lo dico consapevole del fatto che sempre più spesso mi pronuncio post-sogno e dico questa stessa identica cosa. Però stavolta è vero, ve lo posso giurare. La questione è la seguente: da giorni non penso ad altro che agli esami, ai doveri, alla responsabilità, alle scadenze, agli impegni e allora ecco che viene fuori il tema della morte, la cosa più imprevedibile che io possa immaginare. Ma c'è di più, perché qui si trattava di una sorta di conferenza stampa post mortem alla quale solo io potevo assistere e dopo la quale ho dovuto fare un resoconto condito di lacrime a tutti quanti gli altri.
Non ve lo riesco a raccontare, sono troppo inquieto, mi turba troppo, però sta a significare che devo rimettere al centro della mia vita l'amore e le passioni e staccare per l'ennesima volta la spina da tutto ciò che è impegno e responsabilità, dovere sentito moralmente. Ecco cosa succede a combattere le aspettative e a riprovarci per l'ennesima volta, ecco, succede questo. Che io devo andare a fare un esame e mi sveglio con questi pensieri, tra le lacrime, piangendo come un bambino. Voglio tornare a casa e riabbracciare tutti? Le turbe nell'urbe stanno invadendo i miei sogni? È questa la nuova dicotomia che si va delineando? Posso fare ancora qualcosa? Devo stare sereno? Devo stare turbato?
Non ho saputo dare un senso logico e dialettico a quello che volevo scrivervi, non me ne voglio dare la colpa. La smetto di ripassare e ripetere cose a mo' di mantra, mi preparo per fare l'esame ma oggi le cose improtanti per la mia vita sono altre: andare oltre, superare e riniziare ad abbracciare le persone che mi mancano.
Delle volte nell'Urbe si avverte l'assenza di ciò che aristotelicamente è definita "essenza".




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